12. Tempi difficili

“I tempi difficili creano uomini forti, gli uomini forti creano tempi facili. I tempi facili creano uomini deboli, gli uomini deboli creano tempi difficili”, ho letto qualche tempo fa. E mi è tornato in mente quando, dopo aver passato le tre estati precedenti a vendere souvenir al negozietto di un mio zio, mi sono rivolto a mio padre dicendogli:

– «Voglio andare al mare, come tutti gli altri!»

– «Non puoi andarci. Devi venire a lavorare alla cipolla. Adesso hai quattordici anni!» mi dice. E poi, rivolgendosi a mia madre: «E tu non dargli nemmeno mille lire per un gelato!»

Pianti, reazioni forti, ma alla fine capitolo: devo farlo. Devo andare a lavorare per tutta l’estate. Mi alzo alle cinque di mattina. Mi accompagna lui oppure prendo la mia vespa per arrivare al lavoro nel paese confinante con Tropea per le cinque e mezza. Sono il figlio del “padrone”. Ma sono anche l’ultimo degli operai. Devo servire tutti gli altri operai. Mettergli la cassa di cipolla da lavorare, togliere le trecce pronte, gli scarti, le sgambate. Arriva il camion e devo scaricarlo insieme agli altri. Casse da venti chili. Pesanti. Quando c’è la cipolla in partenza finiamo tardi. A volte anche alle sette di sera. Ritorno a casa stanchissimo. Mi metto letteralmente a piangere nella doccia, perché sono davvero troppo stanco. Ma resisto. Voglio anche uscire di sera, vedere gli amici, conoscere ragazze. Posso rientrare alle undici al massimo. Papà non mi concede ritardi. La mattina mi devo rialzare. E ricominciare. La domenica sono libero: posso andare al mare finalmente. Anche se sono a pezzi dopo una settimana di lavoro. Intanto i muscoli cominciano a rinforzarsi, i chili se ne vanno. Cresco, divento più forte. Non mi piace il lavoro, ma lo faccio. Meglio che posso. Comincio a capire come funzionano le cose intorno a me. Do valore ai soldi che ricevo grazie al mio impegno quotidiano. Lavoro alla cipolla per tante estati prima che mio padre mi dica che posso smettere di essere l’ultimo degli operai e che posso occuparmi di altro nell’azienda. In inverno studio, in estate aiuto mio padre. Che mi mantiene agli studi e mi dà da vivere. Mi laureo, prendo la mia strada. Che non è quella di fare l’avvocato o di fare il consulente del lavoro o l’assistente risorse umane. Una delle mie strade è quella di insegnare l’italiano agli stranieri e di continuare a imparare. Perché mi piace, perché ne ho la possibilità e lo voglio. Perché so che tra un evento della vita e l’altro bisogna formarsi, imparare, prepararsi.

Mio padre avrebbe voluto che io facessi il suo lavoro. Ho deciso di no, di non farlo. Ma lo ringrazio per ciò che mi ha insegnato. Lo ringrazierò sempre. Anche quando nel 2019 è morto e l’azienda ha continuato a esistere per un po’ di tempo.

Non avrei saputo gestirla se non mi avesse imposto di lavorare d’estate. Sarei stato debole e mi sarei fatto travolgere dagli eventi, dai debiti e dall’incapacità di reagire. Non l’ho fatto. Mi sono rimboccato le maniche e ho agito, per poi scegliere liberamente di chiudere con onore. Con l’onore che chi mi ha insegnato tanto in questa vita si meritava.

Ecco perché quando leggo quello che ha detto il fondatore di Dubai, Sheikh Rashid – “Non ci sono cammelli per tutti […]. Mio nonno camminava con il cammello, mio padre camminava con il cammello, io cammino in Mercedes, mio figlio va in Land Rover, e mio nipote andrà in giro in Land Rover, ma al mio bisnipote gli toccherà tornare a camminare con il cammello…” –  ringrazio ancora mio padre e tutte le difficoltà che la vita ha posto davanti al mio cammino. Perché mi hanno aiutato e mi aiutano a diventare l’uomo che sono destinato a essere.

All right reserved – (c) Antonio Libertino