Chiusi nel bunker, sotto casa. È buio, manca la corrente elettrica. Sento le raffiche di mitra e le bombe scoppiare intorno a noi. I viveri? Non so per quanto dureranno.
Guardo negli occhi la donna che mi ha reso un uomo degno di essere chiamato tale. Lei mi guarda per cercare sicurezza e forza nel mio sguardo e nella mia postura. Lo stesso fanno i nostri figli.
Sono incerto, spaventato da quello che non ho mai vissuto prima.
Potrei prendere la mia famiglia e scappare verso il confine, ma andremmo tutti incontro a morte certa se ci mettessimo per strada a meno dieci gradi.
Ogni volta che posso scrivo ai miei amici, al sicuro nelle loro case per ora lontano dalla guerra, per raccontare quello che sta accadendo. Nessuno qui vuole la guerra. Ma i politici, quelli sì che la vogliono. Non si accorderanno. Non capiranno quello che stanno facendo accadere. Sarà la terza guerra mondiale e nessuno sarà più come prima.
Nemmeno noi. Forse non esisteremo. Non esisterà nulla di quello che abbiamo vissuto finora.
E allora mi fermo a guardare chi ricambia il mio amore ed esprimo quello che provo con le parole, con gli sguardi, con le carezze.
Scrivo ai miei genitori che abitano lontano e sono preoccupatissimi per me. Gli dico che non so se li potrò mai rivedere. Gli dico soprattutto che li amo e che li ho sempre amati e di perdonarmi se li ho fatti soffrire con qualche mia azione prima di questo momento.
Ho vissuto la vita che volevo. E la vivrò fino all’ultimo momento che mi sarà concesso. Perché è giusto così. Per me, per noi, per tutti voi che state leggendo queste righe.
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